VENTO A UNDICI NODI di Luciano guida.
Ascolta il racconto letto da Lucia Caponetto
“Non saranno più di undici nodi.” Bernard guarda la piccola vela in cima a uno dei due alberi, quello maestro. Il mozzo ha gli occhi che non vanno mai nella stessa direzione, anzi uno è anche più chiuso dell’altro.
“Naaaa, forse dodici o tredici”. Il capitano Montgomery si ciuccia il dito e lo alza oltre il capo, poi aggiunge: “Da nord-ovest, questa volta il buon Dio ci vuole aiutare.”
Il vascello Prince of sea di costruzione scozzese è una nave di media taglia, con due file da 12 cannoni per lato e abbastanza resistente da attraversare l’oceano senza troppe preoccupazioni.
Viaggiano in tre: Montgomery con il suo equipaggio in testa e dietro altre due navi: la Sky explorer, leggermente più piccola che trasporta viveri e beni di commercio, e in coda armato fino ai denti l’Ocean guardian. Quello si che è un veliero che fa paura, ha più cannoni che uomini e in stiva più barili di polvere da sparo che di casse di sardine.
Stanno andando a sud-est, perciò “Vento in poppa!” Le urla squarciano il leggero rumore della brezza marina al tramonto sulle vele. Il sole è grande e si sta intingendo come la delicata punta di un pennello sulla superficie del mare calmo, per quanto calmo possa essere l’atlantico con le sue onde affatto timide. Basta poco e tutto può cambiare, e poi ti ritrovi a fare su e giù, con la nausea che ti fa maledire il giorno che hai deciso di mettere piede su uno di quei legni galleggianti. I signori del mare spinti dal fiato degli Dei. Gli Dei non hanno un umore stabile, oggi ti mandano la brezza a solleticarti il sedere e vai come se fosse bere un rum al calore del camino, domani ti svuotano l’oceano in faccia e finisci in pasto ai pescecani. Come è accaduto pochi mesi prima a Brandon e la sua Mary Seagull III. Doveva essere una passeggiata, e invece in meno di dodici ore quasi sessanta uomini sono andati ad abitare il fondo del mare assieme al loro relitto. Altro che tesori nascosti. Persone come le altre solo più disgraziate o maledette, buone a non fare altro che tenere la rotta e andare da un’isola all’altra.
Quelli sono i tramonti che Montgomery adora, dove il cielo si confonde con l’acqua e tutto diventa una sfumatura dello stesso colore che contiene il giallo, il viola, il verde e il rosso. Sono i momenti in cui il capitano si congeda dopo un breve pasto a base di carne secca salata, liquore scozzese e pane fresco per modo di dire, più che altro umido.
La stiva è umida, molto umida ma per fortuna la sua cabina si trova in alto, nella parte posteriore del vascello. Gli ultimi raggi di sole filtrano dalle finestrelle. Il secondo in comando gli fa una breve visita per poi lasciarlo in pace a tracciare qualche linea sulle carte nautiche. “Se non c’è altro vorrei ritirarmi, le auguro una buona notte capitano”.
Capitano “Little mouth” Montgomery, come lo chiamavano gli amici sulla terra ferma, quando si ritrovavano a bere nelle taverne tra ubriachi e donne che in cambio di qualche sterlina ti davano tutto quello di cui avevi bisogno: l’amore, il corpo, qualcuno che ti ascoltasse e quando serviva anche un abbraccio materno.
“Lo sai che nasciamo soli e moriamo anche peggio?” Parlava a quella piccola cosa che teneva tra le dita di una mano: un’armonica mezza arrugginita. Gliel’aveva regalata uno dei suoi fratelli più grandi quando erano ancora ragazzini. “Little mouth prendi questa e suonala ogni volta che pensi alla mamma. Vedrai che prima o poi torna. Io lo so che ci sta guardando dal cielo.”
“Il cielo un bel Diavolo!, Non tornerà.” Il rum fa le unghie che sembrano lacrime sulla superficie del vetro, il bicchiere piange con Little mouth. Sua madre se n’era andata quando aveva soli cinque anni. La tubercolosi se l’era portata via in poco tempo. A tanti era successo, e quando non era quella era il vaiolo o l’influenza spagnola.
Il soprannome “Little mouth” gli era stato dato perché aveva la bocca piccola, e i cattivi gli dicevano che era piccola perché ci metteva sempre sopra l’armonica. I suoi amichetti da ragazzini erano delle carogne, però gli volevano bene e spesso gli chiedevano di suonare qualcosa per loro. “Dai Little mouth, facci sentire quella che ci fa ridere! Soffia!” oppure: “Come fa quella triste che fa piangere mia sorella? Dai Little mouth suona per noi…Dai Soffiaci quella che hai appena imparato…”
Montgomery ogni sera, prima di coricarsi, aspetta il sonno immerso nel rum e nei ricordi di quando era bambino, dei suoi fratelli e della sua mamma. Di tutto quello oggi gli è rimasto solo quel piccolo strumento che ormai odora di rum. Suona la sua vecchia armonica e l’oceano lo accompagna. Anche per quella notte le onde saranno tranquille, in silenzio ad ascoltare.